Se il nord dell’Etiopia è famoso per i suoi monumenti storici e culturali, un’unicum nell’Africa subsahariana, la regione di sud-ovest verso i confini con il sud del Sudan e il nord del Kenya vanta le sue maggiori peculiarità nell’ambiente e nelle popolazioni che lo abitano. Man mano che si procede a sud verso l’Equatore l’altopiano cede il passo a basse pianure infestate dalla mosca tze tze, i coltivi alle savane, il fresco all’umidità tropicale, le genti semitiche alle scure popolazioni nilotiche. Siamo nel bacino dell’Omo, fiume più lungo e consistente del Po (800 km) e’ultimo enigma geografico del continente, che alla fine del 1800, all’epoca del primo tentativo coloniale italiano, vide le eroiche gesta dell’esploratore Vittorio Bottego, il quale a prezzo della vita accertò per primo l’immissione del fiume nel lago Turkana in Kenya e quindi la sua totale indipendenza dal bacino del Nilo. La bassa valle dell’Omo costituisce ancora oggi una delle aree più intatte e incontaminate del continente, una delle ultime wilderness dove la civiltà materiale è rimasta per ora ancora ai margini. Mancano le grandi mandrie di animali selvatici dell’Africa australe, ma gli animali ci sono mimetizzati nelle estese savane dei parchi nazionali Omo e Mago, abbondano gli uccelli e fauna e flora offrono parecchi endemismi, come si può riscontrare nei grandi laghi che occupano il fondo dell’immane spaccatura geologica della Rift Valley, popolati da ippopotami e coccodrilli e da milioni di uccelli a formare uno dei migliori luoghi africani per il birdwatching con oltre 300 specie diverse.
Ma soprattutto qui si concentrano alcuni dei gruppi etnici più affascinanti dell’intero continente, in un incredibile miscuglio di genti nilotiche, bantù e camite-cuscite. Si tratta di un numero elevato di piccole popolazioni animiste, come Surma, Mursi, Hamer, Karo, Konso, Dorze e tanti altri, che parlano 45 dialetti diversi, i quali hanno mantenuto intatte tradizioni e stili di vita grazie al loro isolamento e alla feroce ostilità verso gli estranei e gli stessi vicini. Vivono quasi nudi in villaggi di paglia con un’economia di sussistenza ferma alla protostoria, per l’esattezza all’epoca neolitica, basata sull’allevamento di bovini e ovini (zebù e capre), un po’ di agricoltura, caccia, pesca e produzione di miele, ma le loro bellissime donne usano fantasiose acconciature e vistose scarificazioni tribali, mentre gli uomini vestiti di pelli, quando non sono nudi del tutto, hanno il corpo e il viso dipinti con gesso e creta come fossero appena usciti da una foto del secolo scorso. Un mondo che non sembra essere cambiato quasi per niente dai tempi di Bottego, quando gli esploratori italiani erano impegnati a scoprire dove finissero le acque dell’Omo, ma destinato presto a scomparire, travolto dalla nostra “civiltà”. Non a caso un territorio protetto dall’Unesco come patrimonio dell’umanità, anche per il rinvenimento di abbondanti resti fossili di animali antichi, di Australopithecus e di Homo, nonché dei più vetusti strumenti litici usati dall’umanità, ma che una gigantesca diga sul fiume, costruita da italiani, sta rischiando di distruggere nel giro di poco tempo.
Per compiere l’esplorazione della valle dell’Omo occorre organizzare una vera spedizione etnografica, tutta compiuta in fuoristrada e basandosi su strutture ricettive non sempre all’altezza, tra le popolazioni più primitive del continente più primitivo. Il percorso parte da Addis Abeba, terza città per grandezza d’Africa e terza capitale al mondo per altitudine a 2.400 m, dove meritano una visita quantomeno il Mercato, il maggiore del continente, e il museo che ospita lo scheletro di Lucy, l’ominide etiope vecchio di 3,2 milioni di anni. Puntando verso sud in una natura esuberante tra piantagioni di caffè, foreste e villaggi con i tukul dal tetto conico si arriva ai grandi laghi della Rift Valley ed ai villaggi dei Dorze, abili tessitori di stoffe policrome dai colori vivaci, con escursione in barca sul lago Chamo per ammirare i coccodrilli più lunghi del continente. Dopo Arbaminch e Jinka si entra nella bassa valle dell’Omo, tra montagne, savane e paludi che si alternano a praterie e foreste. Qui vivono alcuni gruppi etnici tra i più selvaggi e interessanti d’Africa, come i Konso (abili intagliatori di statue lignee, preziosi oggetti di artigianato rituale), i pastori Tsemai, i cacciatori Banna e i pastori Ari, ognuno con proprie caratteristiche peculiari. Il parco nazionale Mago è povero di fauna ma ospita i pastori Mursi e Surma, tra le più singolari popolazioni della valle, feroci guerrieri che vivono ancora di caccia: gli uomini nudi sono famosi per i combattimenti con bastoni, il corpo dipinto con argilla e gesso e le cicatrici che indicano i nemici uccisi, le donne per i piattelli di terracotta con cui si deformano labbro inferiore ed orecchie. Non risulta ben chiara la ragione dell’uso del piattello labiale, che comporta anche l’estrazione dei denti davanti, se sia cioè dovuta a soggettive visioni estetiche, oppure ad una deformazione voluta per sottrarre le femmine al turpe commercio degli schiavisti. Fatto sta che Mursi e Surma ne vanno fiere, e maggiore è il piattello più alto risulta il loro prestigio sociale.
Tra le savane saline del Chew Bahir (ex lago Stefania) si incontrano gli Hammer, tra le genti più belle e dignitose dell’Omo; sono famosi per l’abbigliamento di pelle, i gioielli e le singolari acconciature: le donne per i riccioli di grasso e fango, gli uomini per le crocchie di argilla e piume d’uccello. I maschi, per dimostrare il loro coraggio, debbono esibirsi nel “salto dei tori”, saltando una fila di tori appaiati. Al suggestivo mercato di Turmi si possono incontrare i Karo, maestri nel decorare i corpi nudi con pigmenti naturali, mentre le donne con le scarificazioni realizzano dei veri disegni sui propri corpi. Omorate, il villaggio etiope più a sud prima del Kenya, risulta abitato dai Galeb, pastori-guerrieri pieni di scarificazioni. Sulla via del ritorno, dopo i villaggi Konso, bravi produttori di gioielli con perline ed alluminio, attendono ancora due meraviglie: il cratere del vulcano spento di El Sod, con una lago nero pece sul fondo di 200 m da cui si estrae, in un ambiente da Inferno dantesco, sale, e poi i “pozzi cantanti” dei pastori Borana, profonde cavità da cui attingere manualmente l’acqua per le loro mandrie. Chiudono il percorso i suggestivi laghi della Rift Valley Shala, Abiata e Langano, assai ricchi di pesce e di uccelli acquatici.
L’operatore urbinate “Apatam Viaggi” (tel. 0722 32 94 88, www.apatam.it), specializzato in percorsi culturali di scoperta con accompagnatore qualificato in tutto il mondo, propone un itinerario di 15 giorni alla scoperta della natura e delle popolazioni tribali della valle dell’Omo. Uniche partenze di gruppo con voli di linea Ethiopian Airlines da Roma (e da altre città italiane) il 18 novembre e 23 dicembre 2017 e 10 febbraio 2018, pernottamenti con pensione completa in hotel, lodge e resort a 2, 3 e 4 stelle, quote da 3.150,00 euro in doppia tutto compreso.
Giulio Badini