La Mongolia non è una destinazione per turisti, ma soltanto per grandi viaggiatori. I primi rischierebbero di trovarla alquanto monotona e priva di interessi; soltanto i secondi sono in grado di apprezzarne le indubbie peculiarità.
Non si tratta comunque di una meta facile: questo paese, grande cinque volte l’Italia ma con una densità di un abitante per kmq, presenta infatti un ambiente aspro formato essenzialmente da steppe infinite, qualche foresta e una porzione di deserto del Gobi, un altipiano ondulato ad un’altitudine media di 1.500 m (ma con cime che arrivano a 4.356 m) con ampie zone perennemente ghiacciate, forti escursioni termiche diurne e stagionali, scarse precipitazioni, forti venti e una rete stradale quasi inesistente, dove il principale mezzo di locomozione per questo fiero popolo di pastori seminomadi disseminati tra steppe e deserti è ancora rappresentato dal cavallo e dal cammello, solo di recente affiancati dalle moto. Un paesaggio infinito, dolce e vivace, tra il verde tenero delle praterie punteggiate da mandrie di cavalli selvaggi, cammelli a due gobbe e yak e le bianche gher, le case dei nomadi, e il giallo ocra delle dune che cela uno dei maggiori cimiteri di dinosauri della terra. Eppure un simile contesto ambientale nel 1200 diede vita ad uno dei maggiori imperi dell’Eurasia. Il merito fu tutto di Gengis Khan, il mongolo più famoso e uno dei più geniali condottieri e politici di tutta la storia, che fu capace di trasformare dei pastori individualisti in una invincibile armata, in grado di conquistare in pochi decenni un territorio che si estendeva dalla Cina settentrionale al mar Nero, dalla Corea alla Polonia, dall’Indocina fino alla Persia e alla Crimea.
E per un secolo la Mongolia costituì l’epicentro di razze, culture e religioni diverse, meta e luogo di transito per commerci e conoscenze. Così rapidamente come era sorto, altrettanto rapidamente l’impero si dissolse e nel 1350 la Mongolia divenne una provincia cinese, per rimanere tale fino al 1921 quando entrò nella soffocante orbita sovietica, dalla quale si è scrollata soltanto nel 1990. Al viaggiatore colto e curioso si aprono oggi le porte di un paese fuori dal tempo, dove ammirare le vestigia del passato, dove solcare le immensità di una steppa verdissima o le dune infuocate del deserto, entrando in contatto con i suoi abitanti e scoprire i loro peculiari stili di vita come la musica, il canto, la medicina tradizionale e lo sciamanesimo, nonché il profondo senso religioso nei confronti del rinato buddismo lamaista.
Considerate le sue enormi dimensioni, la scarsità di strade, l’estrema varietà ambientale e l’importanza storica e naturalistica, in Mongolia c’è davvero parecchio da vedere, per cui occorre programmare un viaggio di almeno due settimane. Ogni viaggio parte obbligatoriamente da Ulaanbaatar, la città nomade divenuta capitale soltanto nel 1911, dopo la proclamazione dell’indipendenza dalla Cina, dove ancora oggi sono parecchi gli abitanti che risiedono nelle mobili gher piuttosto che nei palazzi. Ed è anche l’unica vera città della nazione. Da non perdere il monastero di Gandan, il principale del paese funzionante anche sotto la dittatura comunista, il museo-monastero di Choijin Lama, contenente maschere e sculture originali, e infine il museo di storia naturale, con una ricca documentazione di scheletri e di uova fossili di dinosauri. Il parco nazionale Gorkhi Terelj, luogo natale di Gengis Khan, vanta un paesaggio alpino con fauna rara tipo orso bruno, e una statua equestre del condottiero alta 40 m. Il parco Khustain Uruu protegge una steppa che ospita gli ultimi cavalli selvatici takhi, progenitori di tutte le specie equestri, oltre a cervi e marmotte. Karakorum fu invece la capitale medievale dell’impero di Gengis Khan, fino al suo trasferimento a Pechino. Della città cosmopolita e multiculturale resta poco, ma non bisogna perdere l’Erdene Zuu, il maggior monastero mongolo, capace in passato di ospitare fino a diecimila lama.
Qui si diparte la Valle del fiume Orkhon, riserva storica e naturalistica tra colate di lava, laghi e steppe punteggiate di gher; un luogo magico e intonso, traboccante di luce, sito Unesco. Dopo l’importante monastero di Ogni si raggiunge il deserto del Gobi, secondo per dimensioni al mondo soltanto al Sahara, esteso su un terzo della Mongolia e su un tratto della Cina settentrionale; offre una delle maggiori escursioni termiche del pianeta, quasi 100°C, dai -40-50 in inverno (stagione che dura sei mesi) ai +45 durante la breve estate. Nonostante ciò presenta numerosi insediamenti di nomadi che abitano nelle caratteristiche gher allevando cavalli, cammelli a due gobbe, pecore e yak, oltre ad ospitare una fauna peculiare composta da asino selvatico, cavallo di Prewalski, saiga (un’antilope endemica), il raro orso del Gobi, e poi cammelli bactriani, gru, gazzelle e rapaci. Da non perdervi le rupi fiammeggianti di Bayanzang, uno dei maggiori giacimenti di ossa e di uova di dinosauri vecchi di 80 milioni di anni, le dune che cantano al sibilo del vento di Khongoryn Els e infine la Valle delle Aquile, un canyon tra rocce vulcaniche alto 200 m, e tanto stretto da non far passare più di due persone affiancate.
L’operatore urbinate “Apatam Viaggi” (tel. 0722 32 94 88, www.apatam.it), specializzato in turismo culturale con accompagnamento qualificato in tutto il mondo e un buon rapporto qualità/prezzo, propone in Mongolia un itinerario di 13 giorni, dedicato alla scoperta delle principali valenze storico-artistiche, ambientali e naturalistiche. Unica partenza di gruppo con voli di linea da Milano e Roma via Mosca il 6 agosto 2017, pernottamento in hotel a 4 stelle e in campi turistici attrezzati di gher con pensione completa, accompagnatore dall’Italia, quota da 3.990 euro in doppia tutto compreso.
Giulio Badini